Con la risoluzione n. 134E/17, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito all’imputazione degli utili dell’impresa familiare al convivente di fatto del titolare della medesima impresa, affermando che al convivente di fatto del titolare dell’impresa familiare, il reddito dell’impresa spetta in misura proporzionale alla quota di partecipazione agli utili della medesima.
La legge n. 76/16 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinadelle convivenze) ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (art. 1) e disciplinato il regime delle convivenze di fatto, la cui definizione è contenuta nell’art. 1, c. 36, ovvero “due personemaggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenzamorale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, damatrimonio o da un’unione civile” (art. 1, c. 36).
La LeggeCirinnàha apprestato forme di tutela differenziate tra le parti dell’unione civile ed i conviventi, estendendo solo alle prime ed in forza dell’art. 20, “le disposizioni che siriferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’o termini equivalenti….contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, neiregolamenti nonché negli atti amministrativi nonché nei contratti collettivi”.
La Legge Cirinnà è intervenuta altresì sulla disciplina dell’impresa familiare, in una duplice direzione:
- da un lato, estendendo alle unioni civili la disciplina civilistica dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis del c.c. (mediante il rinvio contenuto nell’art. 1 c. 13 all’intero capo VI del titolo VI del libro primo del c.c.);
- dall’altro introducendo nel codice civile l’art. 230-ter, rubricato “Diritti del convivente”, recante la regolamentazione delle prestazioni di lavoro rese infavore del convivente more uxorio.