La circostanza del rigetto massivo delle istanze di anticipazione del 40% dei trattamenti di integrazione salariale sta creando particolare allarme per le conseguenze della negatività stessa dei riscontri e per gli adempimenti ritenuti eventualmente necessari, a pena della decadenza dalla possibilità di accesso all’ammortizzatore sociale. Sul punto è utile operare una fondamentale distinzione, in virtù della quale:
- nel caso in cui le ragioni della reiezione, in termini generali, afferiscano ai requisiti per la richiesta dell’anticipazione ai sensi dell’art. 22 quater, co. 4, del D.L. n. 18/2020, così come convertito dalla L. n. 27/2020, non vi sono ragioni per ritenere la negazione della prestazione in sé, salvo diverso esplicito avviso in tal senso da parte dell’Istituto, con il provvedimento con il quale nega – espressamente – l’accesso alla misura;
- in ogni, caso, anche nelle ipotesi in cui, in occasione della richiesta della anticipazione del 40% in discorso, il provvedimento di rigetto dovesse contemplare una dichiarazione di insussistenza del diritto, la eventuale riproposizione della domanda non è soggetta al termine decadenziale fissato al 17 luglio 2020 dal D.L. n. 52/2020 bensì, come chiarito dal messaggio Inps n. 2489 del 17 giugno 2020, “i datori di lavoro che hanno erroneamente presentato domanda per trattamenti diversi da quelli cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori o omissioni che ne hanno impedito l’accettazione, possono presentare la domanda nelle modalità corrette entro trenta giorni dalla comunicazione dell’errore da parte dell’amministrazione di riferimento, a pena di decadenza, anche nelle more della revoca dell’eventuale provvedimento di concessione emanato dall’amministrazione competente”.
Nello specifico dei citati rigetti, premessa la discutibilità delle decisioni, oggetto di puntuale rilievo da parte della Presidente del Consiglio Nazionale (Nota CNO Prot. n. 2020/0005480), a seguito del quale si attende un annullamento in autotutela degli stessi, risulta innanzitutto significativo il messaggio Inps n. 2806del 14 luglio u.s. che, nel riportare la seguente frase “in presenza di aziende che svolgono l’attività lavorativa su 7 giorni, dovranno comunque essere considerate al massimo 6 giornate e dovrà essere considerata come non lavorata la domenica. La giornata lavorativa effettuata di domenica dovrà essere attribuita fittiziamente al giorno di riposo effettivo”, manifesta il riconoscimento implicito dei rilievi contenuti nella nota di cui sopra. (Pasquale Staropoli)
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