La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24492/2016 ha riaperto il dibattito sulla necessità di ripristinare le tariffe obbligatorie per i liberi professionisti ordinistici. Secondo l'ordinanza della Suprema Corte, il giudice che provvede alla liquidazione giudiziale del compenso professionale deve tenere conto dei criteri ministeriali che determinano i parametri per la liquidazione dei compensi professionali maturati a fronte della prestazione erogata. Il compenso economico, quindi, deve tener conto del decoro della professione, dell’importanza della causa e dell’utilità dell’opera prestata.
La decisione della Cassazione è il miglior viatico per l'azione intrapresa dagli Ordini professionali che tramite il Cup, nei recenti passaggi parlamentari riguardanti il ddl sul lavoro autonomo, hanno posto l’attenzione in particolare sul concetto di "equo compenso", quale diritto per il professionista di avere riconosciuta la pretesa - pur nella libertà della determinazione contrattuale delle parti - di un importo minimo tale da non lederne la dignità.
"Ecco allora che il riconoscimento del diritto all’equo compenso, inteso quale individuazione di un criterio ragionevole che, senza sottrarre ai giudici la discrezionalità nella sua determinazione concreta, riconosca la doverosa tutela ad ogni singolo professionista, rappresenterebbe una conquista di civiltà, sociale e giuridica. Conquista che sarebbe del tutto distinta dalla astratta fissità dei minimi tariffari, cui non è necessario ritornare e dai quali il diritto in discorso è ontologicamente distinto". Così il Presidente di Fondazione Studi, Rosario De Luca, nell'editoriale n.1/2017 di"Leggi di Lavoro", la rivista giuridica bimestrale di categoria, per spiegare i motivi per i quali l'equo compenso rappresenti una conquista di civiltà che non interferisce con il divieto dei minimi tariffari.
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