Sabato, 16 Febbraio 2019 11:00

Crisi d'impresa: mentre l'élite si avvantaggia, il popolo polemizza

La contrapposizione tra élite e popolo è certamente il dibattito del momento. E anche tra i professionisti è una contrapposizione molto d’attualità. Per questo appaiono realmente immotivate le polemiche sorte attorno all’ampliamento della platea dei soggetti interessati, prevista dal decreto sulla Gestione delle crisi d’impresa. Immotivate per la semplice considerazione che l’intero impianto della novellata normativa mira a creare una rigida selezione d’ingresso tra i soggetti identificati quali destinatari (potenziali) della funzione. Non deve sfuggire infatti che tutti i quasi 400mila iscritti agli Ordini di Avvocati, Consulenti del Lavoro e Commercialisti dovranno superare un corso di formazione per iscriversi al costituendo Albo. Tutti tranne un ristretto numero di professionisti che sono in possesso dei requisiti richiesti dalla norma (avere ricevuto negli ultimi quattro anni quattro incarichi). Se poi si pensa che il numero delle procedure fallimentari in Italia è molto contenuto (2972 nel 2018), il quadro della situazione complessiva assume contorni più chiari. La prima considerazione è che tutti i professionisti destinatari della norma sono esclusi da una immediata e automatica iscrizione al costituendo Albo. È stata dunque fatta una sorta di operazione di élite che condurrà all’entrata nell’albo in prima battuta solo di coloro (pochissimi) che in provincia sono già destinatari degli incarichi da parte dei Giudici. Il resto dei professionisti, in particolare dei giovani, non avrà percorsi agevolati per ricoprire la funzione ma dovrà specializzarsi acquisendo il citato corso in barba al titolo di studio ottenuto e all’esame di Stato superato. Peraltro, la scelta di azzerare i titoli è dimostrata dall’inserimento tra i soggetti destinatari della norma anche degli ex amministratori, senza chiedere loro di dimostrare alcuna specializzazione; ma su cui incomprensibilmente non si abbattono polemiche. Insomma, un’operazione quella fatta a monte del decreto che penalizza la stragrande maggioranza dei professionisti, in favore di chi invece è riuscito nel tempo a vedersi assegnati dai Giudici incarichi con continuità. La seconda considerazione riguarda la professione di consulente del lavoro. Per poterla svolgere è necessario possedere la laurea in giurisprudenza, economia o scienze politiche. E che gli esami di stato e la formazione continua obbligatoria, regolati con atti dei Ministeri vigilanti (Lavoro e Giustizia), prevedono tra le altre materie, anche diritto privato; diritto tributario; diritto pubblico; diritto penale; ragioneria; formazione bilancio; procedure concorsuali; scioglimento e liquidazione delle società; diritto commerciale con particolare riferimento all’imprenditore, all’impresa e alle società; bilancio d’esercizio; ragioneria generale e applicata. E proprio in virtù di questo percorso formativo e abilitativo i consulenti del lavoro possono essere nominati commissari liquidatori di società cooperative; apporre il cd. visto pesante e leggero e svolgere la revisione contabile; rappresentare e assistere i contribuenti presso le Commissioni Tributarie e gli Uffici finanziari. Ma il decreto dice anche altro; e più in particolare attesta la specifica competenza dei consulenti del lavoro in materia di lavoro, considerato che la presenza di rapporti di lavoro nell’azienda in crisi faculta il Giudice alla nomina di un Consulente del Lavoro quale Curatore. Concludendo si è dunque trattato di un’operazione di selezione drastica maturata nel silenzio più assoluto degli organismi apicali di rappresentanza di avvocati e commercialisti. La filosofia del provvedimento appare tanto chiara quanto disarmante per chi si è arrovellato in ipotesi di congetture e complotti. Tutti i potenziali destinatari devono avere un percorso formativo accademico in campo economico-giuridico, tranne ex amministratori e una parte degli iscritti alla sezione A dell’ordine dei commercialisti. Tutto il resto non viene considerato e per tutti è obbligatorio superare un corso di formazione che porterà all’iscrizione all’Albo. Tutti tranne l’èlite, che ha invece la strada spianata dalle curatele gestite negli ultimi anni.

Rosario De Luca
Presidente Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

Italia Oggi del 16.02.2019

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