Non costituisce abuso di diritto il trasferimento del dipendente in sedi disagiate e molto lontane anche nel caso in cui l'azienda abbia proposto come alternativa il licenziamento con incentivo economico. E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 15885/2018, rigettando il ricorso presentato da 11 dipendenti trasferiti a seguito dell'affidamento a terzi, in subappalto, delle attività svolte dall'unità produttiva nella quale erano impiegati. Il datore di lavoro aveva prospettato ai dipendenti la scelta fra il trasferimento e la firma di un verbale di conciliazione, con risoluzione del rapporto di lavoro e incentivo in denaro.
Secondo la Suprema Corte l'ipotesi di abuso del diritto al trasferimento dei propri dipendenti si configura quando il comportamento complessivo del datore di lavoro è indirizzato a conseguire obiettivi diversi e ulteriori rispetto a quelli consentiti dalla legge, violando i doveri di correttezza e buona fede e comportando un sacrificio per i lavoratori sproporzionato e ingiustificato rispetto ai vantaggi per l'impresa. Nel caso in esame, però, l'alternativa prospettata ai lavoratori risulta un mezzo del tutto legittimo per perseguire risultati leciti, anche se utilizzata come mezzo di "pressione", e la sola mancata salvaguardia degli interessi dei lavoratori non integra gli estremi di un abuso del diritto.
Notizie correlate: Senza repechage il licenziamento per ragioni economiche è illegittimo - L'indennità sostitutiva di ferie ha carattere retributivo - Le nuove e-learning della Fondazione Studi