Il tentativo di liberalizzare il mercato professionale italiano non ha prodotto gli effetti sperati, in particolare in materia di servizi professionali. In attesa dell'equo compenso, i professionisti italiani risentono di scarse protezioni e competenze rispetto ai loro colleghi europei. Secondo il rapporto sulle libere professioni presentato dal Gruppo III del Comitato Economico e Sociale Europeo durante l'evento del 1° dicembre "Le libere professioni, una leva per lo sviluppo dell'Europa" i redditi professionali italiani sono più bassi rispetto a quelli prodotti in Europa, nonostante in Italia ci siano circa 2 milioni di liberi professionisti. La Spagna, ad esempio, che può contare su 1,8 milioni di professionisti, ha un giro d'affari nel settore legale che si aggira attorno ai 2,1 miliardi di euro rispetto all'1,1 miliardi di euro italiani. Ma i professionisti italiani perdono anche nella revisione contabile (3 miliardi di euro contro i 3,8 miliardi di euro spagnoli) e nei servizi di ingegneria (1,7 miliardi di euro contro 4,5 miliardi).
Sul Sole 24 Ore la Presidente del Comitato Unitario delle Professioni nonché membro del Gruppo III del CESE, Marina Calderone, ha affermato che da questi dati emerge chiaramente l'ampio margine di crescita esistente per le professioni italiane, che potranno essere maggiormente valorizzate con il Jobs Act autonomi e dopo l'approvazione dell'equo compenso ai professionisti. Per il Presidente del Gruppo III del CESE, Luca Jahier, in Italia c'è un problema di protezione sociale, perché l'eccesso di liberalizzazione degli ultimi anni ha creato uno sbilanciamento. Per Arno Metzler, Vicepresidente del Gruppo III del CESE, il nostro Paese paga lo scotto sulla restrizione delle competenze dei professionisti, a differenza di tutti gli altri paesi dove le competenze sono differenziate per i professionisti. "E' fondamentale - ha dichiarato Metzler - andare verso un allineamento pieno, perché in questo settore il mercato unico non è ancora aperto".
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