Illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice che, dopo un periodo di assenza da lavoro causa maternità, si rifiuta di riprendere servizio in una sede differente, allorché presso la sede di provenienza il datore di lavoro ha assunto a tempo indeterminato, per il disimpegno delle stesse mansioni, un altro dipendente.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione che ha espresso questo principio con la sentenza 3052/2017, sottolineando l'illegittimità del trasferimento di sede disposto nei confronti della lavoratrice al rientro dalla maternità, se il posto di lavoro ricoperto prima dell' astensione obbligatoria era ancora disponibile, sia pure con nuove caratteristiche per effetto di una intervenuta riorganizzazione aziendale. Il caso sottoposto alla Suprema corte è relativo alla responsabile del punto vendita di Firenze di una società attiva nel settore retail, la quale, al rientro in servizio dopo un periodo di assenza per maternità seguito dall'obbligo di smaltire le ferie arretrate, è stata trasferita a Milano. Posta di fronte al rifiuto della dipendente, la società ne ha disposto il licenziamento.
La Cassazione, ricollegandosi alle valutazioni espresse dalla Corte territoriale, ha ritenuto che il comportamento complessivo della società fosse preordinato alla espulsione della dipendente e non, invece, motivato da un corretto esercizio del potere di trasferimento. Pur a fronte dell'invocata riorganizzazione, osserva la Suprema corte, la posizione ricoperta dalla dipendente doveva essere a lei riassengata al rientro dalla maternità considerate le sue competenze professionali non di certo inferiori a quelle del lavoratore chiamato a sostituirla durante il periodo di assenza dal posto di lavoro.
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