Oltre al collegamento economico-funzionale tra imprese dello stesso gruppo, per farle ritenere co-datrici di lavoro dello stesso dipendente è richiesta la prova. La Corte di Cassazione con la sentenza n.160/17 ha affermato che non basta che più imprese siano gestite in stretto coordinamento economico-funzionale, affinché l’autonomia giuridica riconosciuta dall’ordinamento a soggetti distinti venga disconosciuta, occorrono la simulazione o la frode con indici rivelatori che vanno dimostrati.
Il caso concreto riguardava un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo dopo aver lavorato in alcune società tra loro collegate. Il lavoratore conveniva in giudizio sia la società che aveva intimato il licenziamento, sia una società che deteneva una quota di partecipazione dell’80%. Questo perché il lavoratore aveva prospettato un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, pertanto riteneva illegittimo il licenziamento perché non era stata prospettata la possibilità di ripescaggio.
Il Tribunale negava che potesse configurarsi nella specie un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, non avendo il ricorrente assolto all'onere della prova relativo alla unicità della struttura organizzativa produttiva; alla integrazione fra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo; al coordinamento tecnico amministrativo e finanziario che attribuisse uno scopo comune alla pluralità di attività; alla utilizzazione contemporanea della attività lavorativa da parte delle diverse società.
Il datore di lavoro, secondo la Cassazione, ha l'onere di provare, con riferimento all'organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento e anche attraverso fatti positivi, tali da determinare presunzioni semplici (come il fatto che i residui posti di lavoro riguardanti mansioni equivalenti fossero stabilmente occupati da altri), la impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, giustificandosi il recesso solo come "extrema ratio". Ai fini della legittimità dello stesso, sul datore di lavoro incombe, dunque, l'onere probatorio inerente sia alla concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo - organizzativo, sia alla impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell'attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito, potendo l'onere in questione ricondursi al generale principio della buona fede, che impone a ciascun contraente di soddisfare i propri interessi nel modo meno pregiudizievole per la controparte.