Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro non è tenuto, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di repechage, a investire nella formazione di un lavoratore in esubero finalizzata a fornirgli una diversa professionalità. A ribadire il principio, la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 10627/2024, oggetto di disamina del contributo “Repechage unicamente fra mansioni fungibili”, a cura di Francesco Capaccio, esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, presente sul numero 2/2024 di Leggi di Lavoro, rivista giuridica di Categoria. Prima di entrare nel merito della pronuncia dei giudici di Piazza Cavour, l’autore del contributo indica i requisiti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo che, ai sensi dell’articolo 3 della L. n. 604/66 va motivato “da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Nella seconda parte dell’approfondimento, il caso su cui si è posta l’attenzione dei giudici di legittimità che, in sintonia con la Corte di appello, dichiara legittimo il recesso intimato a un lavoratore a seguito della riorganizzazione aziendale, determinata dal calo notevole dell’attività e del fatturato, che aveva portato alla soppressione, “con impossibilità – si legge – di ricollocare il lavoratore in altra posizione”. La difesa del dipendente incentrata sulla formazione che il datore di lavoro avrebbe potuto fornire all’assistito così da assegnare a diversa mansione non fa centro, portando la Corte suprema a riaffermare che l’obbligo di repechage va ricondotto “nell’esclusivo alveo della fungibilità delle mansioni in concreto attribuibili al lavoratore, senza alcun obbligo di organizzare corsi di formazione”. Per leggere la rivista, gratuita per i Consulenti del Lavoro, occorre accedere al portale www.leggidilavoro.it
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