Il lavoratore ha diritto di accedere ai propri dati conservati dal datore di lavoro, a prescindere dal motivo della richiesta, per verificarne l’esattezza. È quanto ha ribadito il Garante Privacy con una nota, accogliendo il reclamo presentato da una donna che aveva chiesto alla banca di cui era stata dipendente di accedere al suo fascicolo personale per conoscere quali informazioni potevano aver dato origine a una sanzione disciplinare nei suoi confronti. La banca non aveva dato un adeguato riscontro alla richiesta e aveva fornito solo un elenco incompleto della documentazione raccolta, omettendo alcune informazioni. Solo a seguito dell’avvio dell’istruttoria da parte dell’Autorità – si legge nella stessa nota - l’istituto di credito aveva consegnato all’ex dipendente l’ulteriore documentazione contenuta nel fascicolo. La banca, nelle note di riscontro al Garante, ha sostenuto di non aver fornito all’ex dipendente tale documentazione per tutelare il diritto di difesa e la riservatezza dei terzi coinvolti, nonché per l’assenza di interesse all’accesso da parte della reclamante. L’Autorità ha osservato che il diritto di accesso ai propri dati personali non può essere negato o limitato a seconda della finalità della richiesta. Infatti, in base alle disposizioni del Regolamento, non è chiesto agli interessati di indicare un motivo o una particolare esigenza per giustificare le proprie richieste di esercizio dei diritti, né il titolare del trattamento può verificare i motivi della richiesta. Nel sanzionare la banca per 20mila euro, il Garante ha tenuto conto della natura, gravità e durata della violazione, ma anche dell’assenza di precedenti analoghi.
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