I contratti collettivi che non hanno efficacia erga omnes ai sensi della l. n. 741 del 1959 " sono atti di natura negoziale e privatistica. A confermare il principio, già consolidato nella giurisprudenza, è la sentenza n. 22367/2019 con cui la Cassazione ha giudicato il caso di un lavoratore licenziato al termine della malattia per superamento del periodo di comporto. Il lavoratore aveva impugnato l’atto invocando l’applicazione di un CCNL diverso da quello richiamato dall’azienda. La sua domanda era stata accolta sia dal Tribunale di primo grado che in appello in quanto l’impresa non aveva fornito prova di un’adesione esplicita all’associazione datoriale firmataria del CCNL richiamato per giustificare il licenziamento.
Confermando tale decisione, gli Ermellini osservano che, in assenza di espressa previsione di legge, i contratti collettivi “si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti”. Tutti fatti non accertati nel rapporto di lavoro in esame in difetto di iscrizione del datore di lavoro all'associazione stipulante. La Suprema Corte ha dunque ritenuto corretto applicare le statuizioni di un diverso CCNL, pacificamente estraneo al rapporto stesso, per il solo fatto che fosse “coerente con l’oggetto sociale” dell’impresa.
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