Nella “stagione dell’incertezza” che rischia di aprirsi – in cui l’Italia fa segnare un rallentamento della crescita – il Mezzogiorno potrebbe subire una “grande frenata”. Tra i fattori che determineranno il rallentamento, il calo degli investimenti pubblici al Sud è al primo posto. Nel 2019, infatti, potrebbe essere inferiore di circa 4,5 miliardi di euro se raffrontato al picco toccato nel 2010. Sono le anticipazioni sul Rapporto Svimez 2018 sull’economia e la società del Mezzogiorno, secondo cui sebbene nel 2017 il Pil del Mezzogiorno sia aumentato dell'1,4%, con un incremento dello 0,8% rispetto al 2016, l'economia di queste regioni stenta ancora a decollare.
Nonostante un triennio di crescita consolidata (2015-2017), il Sud d'Italia sconta ancora un forte ritardo rispetto al resto del Paese e d'Europa. L’andamento del prodotto interno lordo e dell’occupazione è stato simile a quello del Centro-Nord, ma i consumi delle famiglie restano deboli: nel periodo 2007-2017 il calo è stato pari al -9,7% al Sud, mentre il Centro-Nord si è riportato sui livelli del 2007. Tra il 2010 e il 2018, inoltre, il numero delle famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato, passando da 362mila a 600mila soggetti. "Preoccupante"anche la crescita del fenomeno dei working poors: l'incremento dei lavoratori a bassa retribuzione dovuto ad una dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario. A frenare lo sviluppo del Mezzogiorno è soprattutto l'elevato grado di disomogeneità sul piano regionale. Nel 2017, infatti, Calabria, Sardegna e Campania hanno registrato i più alti tassi di sviluppo: rispettivamente +2%, +1,9% e +1,8%. Risultati più modesti quelli registrati in Puglia (+1,6%), Abruzzo (+1,2%) e Basilicata (+0,7%); in frenata, invece, il tasso di crescita della Sicilia e addirittura negativo quello del Molise (-0,1%).
L'incremento dell'occupazione registrato nel 2017 (+1,2% nel Mezzogiorno, come nel Centro-Nord) è comunque insufficiente a colmare il crollo dei posti lavoro registrato negli ultimi dieci anni: l’occupazione nelle regioni meridionali resta infatti di 310mila unità inferiore al 2008, mentre nel complesso delle regioni del Centro-Nord è superiore di 242mila unità. A crescere è esclusivamente l'occupazione precaria a Sud, con il +7,5% di contratti a tempo determinato a fronte di una sostanziale stabilità di quelli a tempo indeterminato (+0,2%), frenati dal venir meno degli effetti positivi degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni al Sud. "Drammatico", infine, per la Svimez il "dualismo generazionale": il saldo negativo di occupati tra il 2008 e il 2017 è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila) e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità).
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