Il datore di lavoro che nel licenziamento economico non valuta la possibilità di ricollocazione del lavoratore il cui posto è stato soppresso, incorre nella sanzione della illegittimità del licenziamento, ma non è detto che il lavoratore possa pretendere la tutela reintegratoria e la conservazione del posto di lavoro. Lo evidenzia la Corte di Cassazione con la sentenza n.10435/18, che viene approfondita nella nota giurisprudenziale di Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro.
La Cassazione, preso atto della novità della questione sottoposta, relativa all’interpretazione del c.7 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, così come riformato dalla L.n.92/12, ha affermato il premesso principio di diritto, per il quale “la verifica del requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore. La manifesta insussistenza va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti a fronte della quale il giudice può applicare la disciplina di cui al c. 4 del medesimo art. 18, ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro”.
La pronuncia si fonda sul riconoscimento della considerazione unitaria dei due elementi che legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: esigenza della soppressione del posto di lavoro e impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore interessato.
È compito del giudice, che stando alla lettera della norma può (e quindi può anche non farlo) riconoscere il diritto alla conservazione del posto di lavoro, optare tra il regime sanzionatorio più severo o quello indennitario, alla luce della verifica della eventuale eccessiva onerosità in caso di reintegrazione. Nel caso di specie, l’incertezza delle circostanze fondamentali sulle possibilità di repechage non ha consentito di ritenere l’insussistenza assoluta che colloca in una posizione di residualità-specificità la tutela reale per il licenziamento per ragioni economiche. La Corte ha riaffermato il principio per il quale la ragione giustificatrice del licenziamento inerente all’attività produttiva “è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali”.