A cura di Cesare Damiano, Presidente della XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei Deputati
Il lavoro autonomo, sia nella sua forma ordinistica che in quella non legata ad albi, ha affrontato per primo il mutare dei tempi. Il suo aspetto imprenditoriale si è sempre più confuso con la fluidità e la precarietà che oggi investono tutto il mondo del lavoro. Nel lavoro autonomo la precarizzazione si è sviluppata, silenziosamente prima, in modo sempre più evidente poi, fin dagli anni Novanta del XX Secolo. E, progressivamente, la riduzione delle garanzie si è mescolata in un modo disordinato - difficile da vedere inizialmente, poi, sempre più evidente - con il mutare del mercato del lavoro.
Finché il legislatore non ha dovuto prendere atto di quella realtà. Presa di coscienza che ha condotto all’architettura del provvedimento noto come Jobs Act del Lavoro Autonomo che ha esteso a quella categoria una serie di tutele come maternità, malattia, deducibilità delle spese di formazione e ammortizzatori sociali per i collaboratori coordinati e continuativi da cui era rimasta, a torto, esclusa.
Per le professioni - ordinistiche e non - resta aperta la questione dell’equo compenso. Là dove la contrattazione - come nel caso del lavoro autonomo - non può arrivare è la legge a dover fissare regole inderogabili. Per questo, ho deciso di presentare una proposta di legge su questa materia. Partendo dal presupposto che l’Articolo 36 della Costituzione afferma che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. La Costituzione fissa quindi due criteri in base ai quali deve essere determinato l’importo della retribuzione di una prestazione, che sono quelli della proporzionalità e della sufficienza. La mia proposta di legge è, perciò, volta a ripristinare condizioni minime di garanzia per i lavoratori esercenti le diverse tipologie di professioni riconosciute dal nostro ordinamento, stabilendo in primo luogo che debba intendersi per equo compenso quello relativo a una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale. Ancor più, in considerazione degli effetti della recessione, per i quali si è progressivamente accentuato il processo di sperequazione nei rapporti tra datore di lavoro e prestatore d’opera. Tale fenomeno ha coinvolto anche il settore delle professioni, dove i committenti forti (Pubblica Amministrazione, banche, assicurazioni, grandi imprese), finiscono per imporre ai professionisti, specie ai giovani, compensi e trattamenti iniqui.
Ma c’è anche una diversa prospettiva che è necessario affrontare. Proprio perché si è avviato, intorno a noi, un percorso di cambiamento del quale si può solo cominciare a intuire la vastità dell'orizzonte. #Tuttiallavoro dovrebbe, perciò, significare mobilitare le energie, l’immaginazione e il pensiero, allo scopo di mettere a fuoco i modi per affrontare questo futuro. Nel quale l’avvento della robotica non riguarda solo la produzione industriale. I robot, o più precisamente, i computer con altissime capacità di calcolo, sono già all’opera nel settore finanziario e prendono quelle decisioni che un tempo erano materia per broker umani. Informatica e robotica fanno irruzione in numerosi settori professionali e presto in aree come quelle legali, commerciali, nell’attività di studio molti lavori saranno appannaggio delle macchine. #Tuttiallavoro, dunque, perché è inevitabile che il lavoro umano sia da reimmaginare, ancora una volta, in questa nuova rivoluzione digitale.