Venerdì, 22 Settembre 2017 12:23

Gli effetti della tecnologia sul mondo del lavoro

A cura di Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL

Ogni cosa è soggetta al tempo ed alla trasformazione. Nulla fugge dalla celebre espressione filosofica “panta rei”, neanche il lavoro che è in continuo movimento ed, allo stesso tempo, è l’inamovibile perno attorno a cui ruota il benessere sociale ed economico dell’uomo.

Il lavoro è un essere camaleontico. Si adegua ai cambiamenti, endogeni ed esogeni del mercato e della società, alcune volte riuscendo a stare al passo con i tempi, altre volte più lentamente.

Abbiamo conosciuto nell’ultimo decennio una crisi economica molto dura, i cui effetti sull’occupazione sono ancora evidenti, seppur in lieve miglioramento.

La globalizzazione e l’inarrestabile evoluzione della società e del sistema dei consumi hanno richiesto negli anni un adattamento nell’organizzazione del lavoro. Ciò anche dovuto alla rapidità dei processi di trasformazione tecnologica, all’uso sempre più disseminato e spasmodico di nuove e più evolute tecnologie digitali che, se non accompagnate, rischiano di minare alcuni capisaldi del mercato del lavoro e quei principi che hanno garantito sicurezza lavorativa e sociale alle persone.

L’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea ha inoltre dovuto reindirizzare alcuni interventi nazionali verso le richieste provenienti dalle Raccomandazioni europee.

Era inevitabile che l’adozione di tali misure a livello nazionale (dapprima con la riforma del sistema pensionistico e successivamente con la riforma del lavoro del 2015) avrebbe comportato, così come è accaduto, la creazione di un’occupazione debole, con minori tutele ed un aumento della disoccupazione giovanile.

Per creare un’inversione di tendenza su questi fenomeni sono state stanziate ingenti risorse sia di provenienza europea attraverso il programma Garanzia Giovani sia a carattere nazionale con gli esoneri contributivi che hanno interessato le Leggi di Stabilità del 2015 e 2016.

Ma sappiamo bene che gli interventi limitati nel tempo hanno altrettanti effetti temporanei. Oggi abbiamo convogliato diversi strumenti e risorse verso i “giovani”. Se l’intento da perseguire deve essere quello di includere nel mercato del lavoro il maggior numero di ragazze e ragazzi con contratti stabili (visto l’ancora elevato tasso di disoccupazione giovanile), occorre che le varie misure in campo, indipendentemente dalla natura europea o nazionale, siano coerenti ed assicurino l’obiettivo finale della stabilità/stabilizzazione.

Nel contempo, mentre si cerca di reindirizzare il lavoro verso il concetto di “qualità” e quindi verso la valorizzazione del contratto a tempo indeterminato ed apprendistato, si assiste ad una proliferazione di occupazione “virtuale”, non quantificata nei numeri, in cui l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro avviene attraverso le app e il datore di lavoro non è una persona reale e tangibile, bensì un algoritmo. Un’occupazione che viene creata dalle sempre più sofisticate applicazioni del web, che permettono a chiunque abbia una connessione internet di svolgere “lavoretti” sottopagati, non dichiarati e con nessuna forma di protezione sociale. Ormai, nell’era del digitale si ingaggia e si licenzia una persona attraverso la messaggistica WhatsApp. È questo il mondo della Gig Economy.

Siamo nell’era in cui domanda ed offerta vengono gestite on-line attraverso piattaforme e app dedicate, ma non tutte censite ed autorizzate. La maggior parte delle applicazioni sembra operare incrociando le esigenze dei committenti sulla richiesta di piccoli e saltuari lavoretti di carattere autonomo. Ma troppo spesso ci si imbatte in offerte di lavoro che sconfinano nel lavoro subordinato, seppur senza quel minimo di garanzia retributiva richiamata dall’art. 36 della Costituzione.

Sappiamo bene che il processo di evoluzione dell’innovazione è più veloce di un aggiornamento della nostra legislazione; però questo nuovo “mondo di mezzo” va gestito e regolamentato. Il tema negli ultimi tempi è entrato nel dibattito internazionale, europeo e nazionale, ma ancora non vi è nulla di concreto.

Dobbiamo, quindi, porre molta attenzione agli effetti della tecnologia, anche digitale, sul mondo del lavoro, perché accanto ad indiscutibili risvolti positivi esistono situazioni negative come quella dei lavoretti appena descritta, ma anche l’evoluzione di un caporalato che si avvale di ingaggi di manodopera attraverso WhatsApp.

Il tema diventa quindi il “governo” di questi nuovi processi, considerando che la globalizzazione e la crisi non hanno solo indebolito, ma trasformato le relazioni industriali nel nostro Paese. Una delle risposte agli effetti provocati da questi processi potrà venire da una formazione, continua e  non solo, capace di anticipare in termini di skills gli effetti della innovazione.

È compito di tutti, Governo in primis, ma non meno del Sindacato attraverso la contrattazione collettiva, accompagnare i cambiamenti in atto, affinché dagli sforzi di tutti si pongano le basi per costruire un “lavoro in movimento” di qualità.