Una cosa è certa: dopo la pandemia, gli italiani hanno una gran voglia di cambiamento. A partire dal lavoro. Un lavoro più compatibile con le esigenze di vita personale e più appagante sotto il profilo professionale ed economico. Più della metà dei lavoratori del Belpaese (55%) desidera una nuova occupazione perché insoddisfatta di quella attuale e il 15% si è attivato per cercare un altro impiego. A descrivere il sentiment degli italiani e le evoluzioni in atto è l’indagine di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Italiani e lavoro nell’anno della transizione”, condotta, in collaborazione con SWG; tema che è stato affrontato nel corso del Festival del Lavoro tenutosi dal 23 al 25 giugno a Bologna, presso il Palazzo della Cultura e dei Congressi. Un fenomeno trasversale, diffuso non solo tra i giovani e determinate categorie di lavoratori e piuttosto nuovo per un mercato del lavoro da sempre caratterizzato da stabilità e basso turnover interno. A pesare sulla decisione di voler voltare pagina l’insoddisfazione (38,7%) e la voglia di novità (35,4%) piuttosto che la necessità dovuta alla scadenza del contratto (9,8%) o alla paura di perdere il lavoro (11,8%). Salari bassi (31,9%) e scarse opportunità di carriera (40,9%) alla base dell’insoddisfazione. Ma non è solo il miglioramento retributivo e professionale a spingere al cambiamento. Il 49% degli italiani indica tra i requisiti irrinunciabili della nuova occupazione un maggiore equilibrio personale, livelli minori di stress e più tempo da dedicare a sé stessi. Il benessere individuale è l’obiettivo soprattutto di under 35 e 35-44enni, prioritario rispetto al miglioramento economico. Lo smart working ha giocato un ruolo decisivo in tal senso. Nel 2022 ben l’84,2% dei lavoratori “agili” promuove a pieni voti questo modello, perché concilia lavoro e vita privata. Il 31,8% degli italiani non accetterebbe di tornare a lavorare in presenza, il 16,9% cambierebbe lavoro e il 9,3% potrebbe addirittura licenziarsi. Il 50,2% dei lavoratori dipendenti preferirebbe essere valutato sui risultati piuttosto che sull’orario di lavoro. Ma non c’è solo lo smart working. Il 61% degli intervistati afferma che la rivoluzione tecnologica ha cambiato il lavoro; una percentuale minoritaria (13,9%) invece la boccia, perché ha reso il lavoro più complicato (14,6%) e disumano (11,1%), con la perdita di valore delle persone e delle relazioni. Dopo gli stipendi troppo bassi (56,7%) e la tassazione elevata (43,9%), è la scarsa meritocrazia del sistema (33%) l’altra criticità: tema avvertito con maggiore urgenza rispetto a quello della precarietà, soprattutto dai giovani.